Biografia
Silvia Rizzardi nata nel 1874, si sposa nel 1897 con Emilio Zecchini. Ha due figli: Mario, nato nel 1898 e Osvaldo nato nel 1901. Rimane vedova a 30 anni nel 1904. Intelligente ed energica amministra i beni del marito che dovevano essere abbastanza consistenti e fa studiare i due figli, uno medico e l’altro ragioniere. Muore Molina nel 1944, in piena guerra , vittima della carenza di una dieta alimentare adeguata e di farmaci per il diabete, introvabili anche da papà.
La nonna Silvia era piccola e grassottella, sprizzava simpatia e allegria dal quel suo faccione largo e la bocca senza denti sempre aperta al sorriso. A me piaceva tanto e non le trovavo nessun difetto. Portava gli abiti lunghi con un grembiule, pure lungo, allacciato sotto il seno prosperoso, cosa che faceva una grande impressione a me che avevo 4/5 anni (sono nata nel 1935).
Parlava, come si usava allora, intercalando con mezze frasi da carrettiere delle quali chiedevo spiegazione alla mamma. La mamma che stimava e voleva bene alla nonna, mi diceva che solo la nonna le poteva dire e che non le dovevo ripetere.
Trascorreva l’inverno con noi che abitavamo allora in via Gorizia, parecchio distante dalla stazione.Ricordo che si andava a prenderla con la carrozza pubblica trainata dal cavallo, in cassetta un rubicondo e allegro Carmelo, C’era sempre papà io e Marco.
Il viaggio in carrozza veniva ripetuto in primavera quando la nonna ritornava a Molina per curare l’orto. Io ero la sua preferita e la nonna Silvia mi portava con sé. Mi faceva la focaccia, mi cantava le filastrocche, mi metteva al grande lavandino dove allora mi dilettavo a lavare le scodelle. Si recitavano le preghiere del mattino e della sera e la domenica, alla messa, la sentivo bisbigliare le preghiere, cosa che mi incuriosiva parecchio. Mi portava dalle sue amiche: la Beppina dell’Abramo, la Beppina del Tanzio. La domenica si trovavano a mangiare la torta o dalla nonna o da qualche amica. Veniva a trovarla anche la sorella, la zia Anì di Legos, donna esuberante e simpatica, che gridava invece di parlare e che con la nonna sembrava litigassero invece di discorrere.
La casa di Molina era aperta a tutti, le donne venivano a chiacchierare ed a sfogarsi con lei , a chiedere consigli e penso sia stata anche molto generosa.
Quando ci trasferimmo a Molina per la guerra nel 1943 , assieme a Stefania, si prese cura di noi piccoli: Marta, Marco, Giovanna e Camilla mentre la mamma e il papà erano a Trento con Emiliana ed Enzo.
Ebbi con lei la prima esperienza della morte che mi lasciò più che altro sbalordita. A posteriori che cosa mi rimane della nonna Silvia? l’esperienza di un grande affetto fatto di gesti semplici e premurosi e la testimonianza di una vita serena (non l’ho mai sentita lamentarsi e non l’ho mai vista arrabbiata), senza esigenze, generosa e tollerante (non parlava mai male di nessuno) verso tutti.
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